Tra le misure previste dal decreto “Cura Italia” a sostegno dell’economia è previsto il blocco ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni economiche) e il blocco ai licenziamenti collettivi.
Resta salva, per i datori di lavoro, la possibilità di procedere con licenziamenti per motivi disciplinari (licenziamento per giustificato motivo soggettivo o licenziamento per giusta causa), regolamentati dalla legge e dai CCNL. E’ questo, ad esempio, il caso di licenziamento del lavoratore assente ingiustificato, naturalmente ferme restando le previsioni del CCNL e la procedura disciplinare prevista dallo Statuto dei Lavoratori (lettera di contestazione ecc.).
Tutti i licenziamenti per ragioni economiche sono invece vietati dall’entrata in vigore del decreto (17 marzo) per un termine di 60 giorni.
L’argomento non ha mancato sollevare non poche perplessità circa la tenuta costituzionale del divieto imposto dal decreto “Cura Italia”, in particolare con riferimento alla insindacabilità delle scelte imprenditoriali prevista dall’articolo 41 della Costituzione.
Sul tema è intervenuta anche la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, che nella sua ultima circolare ha ricordato come il decreto preveda la “preclusione dell’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e la sospensione di quelle pendenti, nonché l’impossibilità per il datore, a prescindere dal numero dei dipendenti, di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3, L. n. 604/66”.
Osserva la Fondazione: “Il giustificato motivo di licenziamento è determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro, il suo regolare funzionamento. Queste, è pacifico alla luce dell’art. 41 Cost., sono espressione della insindacabilità delle scelte imprenditoriali, come storicamente condiviso dalla dottrina e più volte confermato dalla giurisprudenza, quale espressione della garanzia di libertà di iniziativa economica”.
“Alla luce di ciò – osserva la Fondazione Studi -, si dubita della tenuta costituzionale della norma, che lungi dal garantire lo scopo del mantenimento del livello occupazionale, rischia di costituire soltanto fonte di contenzioso, considerato che mal si comprende come possa, ad esempio, “sospendere” la necessità per un piccolo imprenditore, privo della possibilità di proseguire l’attività aziendale, perché privo dei fondi necessari, di interromperla, per effetto di un’astratta previsione”.
Va ricordato che il veto imposto dal decreto “Cura Italia” non si applica in caso di licenziamento di apprendisti per fine periodo formativo.