Pensionati e disoccupati i beneficiari dei voucher. E ora?

Pensionati, lavoratori dipendenti e disoccupati. Queste, secondo una recente indagine della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, le categorie che maggiormente utilizzavano i voucher. Sulla base di dati resi noti dall’INPS, la Fondazione Studi ha appurato che erano queste categorie sociali a beneficiare del lavoro accessorio, abrogato dal governo lo scorso 17 marzo.

E proprio pensionati, lavoratori dipendenti e disoccupati, paradossalmente, erano i destinatari principali del lavoro accessorio nelle intenzioni originarie del Legislatore. Scrive infatti la Fondazione Studi: “Posta la marginalità della rilevanza economica dei voucher, emerge che la maggior parte dei voucher (il 63% pari a 870 mila lavoratori) veniva utilizzata effettivamente per quelle finalità residuali che il legislatore aveva prefigurato: sostegno alla disoccupazione, arrotondamento di stipendi e pensioni. Vero e proprio lavoro ‘accessorio’ rispetto alle risposte primarie che venivano offerte al mercato dell’occupazione attraverso i contratti di lavoro tipici. Crolla così l’altro mito del lavoro accessorio come strumento di elusione delle garanzie ed erosione dell’occupazione resa nelle forme ordinarie”.

 LAVORO NERO  – Ma non è tutto. A preoccupare, ora, sono le conseguenze dell’abolizione del lavoro accessorio. “Fatto ancor più grave – osserva la Fondazione Studi – è quello che proprio le categorie che più hanno utilizzato, e genuinamente, i voucher, ben difficilmente saranno riassorbite dalle altre forme contrattuali ma, prospettiva più verosimile, scivoleranno verso il nero. Perché i disoccupati non troveranno un altro strumento che consentirà loro una prestazione di lavoro saltuaria e legittima senza perdere il beneficio dell’indennità di disoccupazione e i pensionati, senza i voucher, la cui contribuzione era a fondo perduto, saranno più ‘costosi’. Ancor più complesso per i titolari di un impiego principale sarà ritagliare ulteriori spazi per consolidare un altro impegno per un’ulteriore prestazione lavorativa, senza l’estemporaneità e la libertà garantita dall’utilizzo dei voucher che consentiva loro di ‘arrotondare’ lo stipendio nella pienezza della legalità e della libertà di adeguare l’attività accessoria all’impegno lavorativo continuo già assunto”.

 I NUMERI  – Riguardo ai numeri, dall’indagine emerge che il 27% del totale dei voucher era utilizzato da disoccupati (252mila) e pensionati (116 mila). Il 36% del totale dei voucher era invece utilizzato da occupati (502mila), che arrotondavano con i buoni lavoro i redditi provenienti dalla loro occupazione principale.
Il restante 37% (509mila) era rappresentato da una popolazione lavorativa che, attraverso l’utilizzo dei voucher, manteneva aperta la propria posizione previdenziale, utile nel tempo alla ricostruzione di una storia contributiva valida ai fini pensionistici.

 MANCANZA DI ALTERNATIVE  – E se attualmente, annota la Fondazione, “non si registrano valide alternative che possano rispondere appieno alle esigenze di una prestazione di lavoro di natura occasionale”, non va dimenticato che “l’abolizione dei voucher comporta un vuoto normativo ancor più significativo per le famiglie, evidentemente meno attrezzate per provvedere agli adempimenti formali previsti per la formalizzazione di un rapporto di lavoro, che invece avevano nel voucher un utile strumento di flessibilità e semplicità per richiedere prestazioni lavorative di piccolo cabotaggio, tipiche delle esigenze familiari (collaborazioni domestiche per le pulizia, piccoli lavori di manutenzione, artigianali, ecc.)”.

Osservano dunque i Consulenti: “Manca completamente uno strumento normativo per dare regolarità ai tanti rapporti che si avviano in ambito familiare. Infatti, i soggetti maggiormente utilizzati in ambito familiare si troveranno ora a fare i conti con una assoluta mancanza di regolamentazione”.

QUI il testo integrale dell’indagine condotta dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro.