Italia maglia nera in Europa per il ricorso allo smart working

Italia all’ultimo posto tra i Paesi europei per quanto riguarda il ricorso allo allo smart working, o “lavoro agile” (qui un approfondimento sull’argomento). Certo, è ancora presto per stilare bilanci sulla normativa relativa allo smart working nel nostro Paese, tuttavia il dato è significativo ed emerge da un raffronto tra le rilevazioni dell’Osservatorio del Politecnico di Milano e quelle, a livello europeo, di Ilo-Eurofund. Tutte le rilevazioni si riferiscono all’anno 2017 e consentono di tracciare le prospettive di sviluppo, anche alla luce delle tendenze internazionali in materia di incremento della produttività, bilancio ecosostenibile ed esigenze di conciliazione tra lavoro e vita privata.

Ebbene, i dati dell’Osservatorio del Politecnico evidenziano che, dal 2013, gli occupati in qualche forma di lavoro “smart” sono aumentati del 60%, per un totale di oltre 305.000 lavoratori. Il 36% delle grandi imprese ha accolto politiche di lavoro agile quando ancora non era presente una legislazione specifica.

Il raffronto con i dati europei è per noi impietoso, dal momento che l’Italia si colloca all’ultimo posto per quanto attiene allo smart working. In particolare, solo l’8% dei lavoratori italiani lo utilizza. Di questi, solo l’1% lo fa in modo regolare, mentre il 5% occasionalmente.
Una delle cause dello scarso (quantomeno per ora) ricorso al lavoro agile in Italia può essere individuata nella normativa e nelle sue rigidità dal punto di vista formale.

La legge 81/2017 ha infatti introdotto una serie di adempimenti e di vincoli relativi alla formalizzazione di un accordo scritto. L’accordo per il lavoro agile può essere a tempo determinato o indeterminato e deve precisare i tempi di riposo e le misure tecniche e organizzative per garantire la cosiddetta disconnessione del lavoratore. Non solo: l’accordo deve individuare le modalità di esercizio del potere di controllo da parte del datore di lavoro, limitando quindi la libertà consentita dal nuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. E’ poi necessario definire le eventuali condotte disciplinari specifiche che, pur manifestandosi al di fuori dei locali aziendali, possono dar luogo a sanzione disciplinare.

La normativa prevede inoltre il principio di parità di trattamento, garantendo al lavoratore agile lo stesso trattamento retributivo e previdenziale riservato al lavoratore “tradizionale”, e la copertura assicurativa prevista dalla normativa in tema di salute e sicurezza sul posto di lavoro.

Se da un lato la normativa si premura di disciplinare lo smart working sotto ogni profilo, dall’altro, con i vincoli formali e burocratici tipici della legislazione italiana, rende il ricorso al lavoro agile meno agevole rispetto a quanto avviene negli altri Paesi europei.

E’ però chiaro che, ai fini di una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro, la formula dello smart working rappresenta la risposta ideale. Al di là della rigidità della normativa, molte aziende italiane stanno dunque cogliendo questa opportunità e il trend è comunque in crescita anche nel nostro Paese, sebbene allo stato attuale il confronto con il resto dell’Europa sia ancora decisamente deludente.