Decreto Agosto: veri aiuti per le imprese o ancora troppi cavilli burocratici?

Ulteriori settimane di cassa integrazione e proroga al blocco dei licenziamenti: questi alcuni dei provvedimenti di maggiore rilievo contenuti nel decreto legge 104/2020, cosiddetto “Decreto Agosto”, entrato in vigore nei giorni scorsi per far fronte, ancora una volta, alle ricadute economiche causate dalla crisi epidemiologica.

Come spesso accade, tuttavia, agli annunci non corrisponde un provvedimento lineare, di facile e veloce interpretazione per i datori di lavoro che si troveranno ancora una volta di fronte a difficoltà interpretative, cavilli e requisiti per accedere agli ammortizzatori sociali.

Anche per questo, per fare il punto sulle novità introdotte dal Decreto Agosto, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha elaborato, il 25 agosto, un suo approfondimento, in cui analizza le misure introdotte dall’Esecutivo sul fronte del lavoro.

Nello specifico della proroga degli ammortizzatori sociali, la Fondazione evidenzia che “i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza sanitaria, possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove secondo modalità che verranno analizzate di seguito”.

Dunque, in linea di massima, con il Decreto Agosto sono previste – a determinate condizioni – altre 18 settimane di ammortizzatori sociali. “Le complessive diciotto settimane – annota poi la Fondazione – devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020 e costituiscono la durata massima che può essere richiesta con causale COVID-19. I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati, qualora siano collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020, sono imputati, ove autorizzati, ai nuovi ammortizzatori sociali ex D.L. n. 104/2020”.

Attenzione però: “Tale disposizione – avvertono i Consulenti –, dunque, implica per le aziende che non siano riuscite ad utilizzare tutte le diciotto settimane previste dalla precedente normativa, la privazione delle settimane residue. È altresì evidente come i datori di lavoro, che negli scorsi mesi abbiano utilizzato virtuosamente le settimane di cassa integrazione a disposizione, risultino penalizzati dalle norme recentemente introdotte”.

Tra le novità introdotte dal decreto in questione, vi è anche quella che richiede il pagamento di un contributo addizionale per le aziende che, esaurite le prime nove settimane di ammortizzatori, intendano proseguire la fruizione degli stessi per le ulteriori nove settimane concesse dal D.L. n. 104/2020.

“In questo caso – ricorda però la Fondazione Studi – è previsto il versamento di un contributo addizionale, determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 con quello del 2019, in misura pari:
a) al 9% della retribuzione non erogata durante la CIG, se la riduzione del fatturato è pari o inferiore al 20%;
b) al 18% della retribuzione non erogata durante la CIG, se non c’è stata alcuna riduzione del fatturato.
Tale contributo non è, invece, dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e da coloro che hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019”.
Osservano i Consulenti: “In merito a quest’ultima previsione, si ritiene utile evidenziare come il valore del contributo addizionale per cui è richiesto il pagamento sia particolarmente ingente se raffrontato a quello previsto per la disciplina ordinaria di cui al decreto legislativo n. 148/2015. Infatti, l’articolo 5 del D.Lgs. n. 148/2015 pone a carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale, sia essa di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria che Straordinaria, il pagamento di un contributo addizionale, quantificato nel:
a) 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all’interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un
quinquennio mobile;
b) 12% oltre il limite di cui alla lettera a) e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile;
c) 15% oltre il limite di cui alla lettera b) in un quinquennio mobile”.

E se è chiaro che “l’intento del legislatore del D.L. n.104/2020” è quello di “disincentivare, se non davvero necessario, l’utilizzo delle ulteriori nove settimane di trattamenti”, la Fondazione considera “tuttavia lecito domandarsi, dal punto di vista prettamente economico, quale percorso sia il più confacente per le aziende che dovessero trovarsi in difficoltà nei prossimi mesi”.

Anche perché, aggiunge la Fondazione, “Si evidenzia, inoltre, che le ulteriori nove settimane di trattamenti, sono riconosciute esclusivamente ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo autorizzato”.

Insomma, ancora una volta, non è tutto oro quel che luccica e quello che sbrigativamente può sembrare un appiglio sicuro per le imprese in difficoltà a causa del Covid-19, non sempre corrisponde ad un reale ed efficace (oltre che veloce) aiuto economico da parte dello Stato alle aziende in crisi.