Smart working: in caso di lavoratori asintomatici prevale la malattia

In presenza di dipendenti asintomatici e con la possibilità di lavorare in smart working, come devono comportarsi i datori di lavoro? A rispondere a questo interrogativo è l’esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Pasquale Staropoli, tramite alcune dichiarazioni rilasciate a Repubblica.it.

L’esperto spiega che “Allo stato attuale, in presenza di un quadro clinico conclamato di positività e quindi di una disposizione medica, l’unico esito possibile è la malattia del lavoratore”. Se però il dipendente esprime la volontà di continuare a lavorare da remoto “non si può lavorare da casa se c’è un certificato medico che dispone la quarantena”.

Va infatti ricordato che già nel mese di giugno l’Inps aveva chiarito come il periodo di quarantena, che scatta con il riconoscimento della positività al virus, debba essere equiparato alla malattia.

In caso di peggioramento del quadro clinico, prosegue l’esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “il datore di lavoro potrebbe ritenersi responsabile” e, anche laddove vi fosse un certificato medico che stabilisse lo smart working non dannoso per il lavoratore, “bisogna poi vedere chi sarebbe disposto ad assumersi una tale responsabilità”.