Smart working e buoni pasto: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

“L’Agenzia delle Entrate conclude il suo parere ritenendo che i buoni pasto riconosciuti ai lavoratori agili non concorrano alla formazione del reddito di lavoro dipendenti ai sensi dell’art. 51, comma 2, lettera c) del TUIR, confortando i datori di lavoro che, a partire da marzo 2020, hanno sempre più fatto ricorso al lavoro agile, anche nell’osservanza di quanto previsto dal Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro siglato fra Governo e parti sociali il 24 aprile 2020”.

A ricordarlo, riprendendo un recente parere interpello all’Agenzia delle Entrate, è la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che con l’approfondimento del 25 febbraio 2021 affronta il tema della corresponsione dei buoni pasto (e relativo trattamento fiscale) ai dipendenti in smart working.

Il tema, da sempre piuttosto dibattuto, è divenuto particolarmente d’attualità a seguito del notevole incremento del lavoro agile indotto dalla crisi sanitaria. Di qui la necessità di fissare alcuni chiarimenti a beneficio dei datori di lavoro che ricorrono allo smart working e dei lavoratori agili che ricevono buoni pasto.

Con particolare riferimento ai buoni pasto, la Fondazione annota: “All’interno delle forme di retribuzioni in natura (c.d. fringe benefit), una delle più diffuse è quella dei buoni pasto. Nel nostro ordinamento i ticket restaurant trovano un’indiretta definizione nella disciplina regolatoria degli appalti dove, l’emissione di buoni pasto viene definita quale “attività finalizzata a rendere per il tramite di esercizi convenzionati il servizio sostitutivo di mensa aziendale” (…) fra gli altri principi è stabilito che i buoni pasto non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto al giorno, e che gli stessi non sono commercializzabili o convertibili in denaro e utilizzabili esclusivamente dal titolare. Tale sistema di regole non individua mai una fattispecie di obbligo di erogazione dei ticket, frutto della libera iniziativa del datore di lavoro. Costui li potrà concedere unilateralmente attraverso un regolamento aziendale, in sede di contratto di lavoro del singolo dipendente, oppure come spesso accade in contesti di piccole dimensioni avviando una prassi priva di qualsiasi documento condiviso con i lavoratori”.

Il punto è come debbano essere considerati i buoni pasto dal punto di vista fiscale in caso di prestazione lavorativa in smart working. Cominciando ad approcciare la tematica, la Fondazione ricorda che “Ad inquadrare più correttamente la derivazione civilistica dei buoni pasto nel nostro ordinamento è intervenuta più volte la giurisprudenza ribadendo un principio sintetizzato in tempi recenti anche dalla Corte di Cassazione. Secondo la Cassazione la natura dei buoni pasto non li configura come elemento della retribuzione normale, bensì alla stregua di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, pertanto al di fuori del trattamento retributivo in senso stretto. Da tale presupposto deriva che il regime regolatorio della loro erogazione può essere variato anche unilateralmente dal datore di lavoro, qualora la loro elargizione non si inserisca all’interno di un accordo sindacale”.

Nell’approfondimento, la Fondazione esamina poi la disciplina fiscale dei buoni pasto in generale, per terminare con l’esame della risposta data all’interpello dall’Agenzia delle Entrate, sulla base della quale, appunto, si ritiene che “i buoni pasto riconosciuti ai lavoratori agili non concorrano alla formazione del reddito di lavoro dipendente”.

Qui il testo integrale dell’approfondimento della Fondazione.