Tracciabilità della retribuzione: la dichiarazione del lavoratore non è sufficiente

L’obbligo di tracciabilità della retribuzione ai lavoratori dipendenti comporta la necessità, per il datore di lavoro, di conservare la documentazione comprovante la regolarità del pagamento. A ribadirlo è l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 473 del 22 marzo 2021, in cui si ricorda che in sede di verifica ispettiva non è sufficiente esibire una semplice dichiarazione del lavoratore che confermi di essere stato pagato in contanti o mediante altre modalità comunque previste dalla legge.

In altre parole, la firma del lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione e in caso di verifica ispettiva il datore di lavoro rischia di incorrere nel regime sanzionatorio previsto dalla normativa in materia.

Scrive in proposito l’Ispettorato nella nota del 22 marzo: “Non appare possibile accordare rilevanza, ai fini dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro, alla dichiarazione resa dal lavoratore che confermi di essere stato pagato con gli strumenti previsti dal comma 910, in assenza della relativa prova ricavabile dalla tracciabilità intrinseca di tali mezzi di pagamento. A ben vedere è proprio in ragione della capacità di tali strumenti di fornire prova del loro utilizzo che il legislatore li ha imposti ai fini del pagamento delle retribuzioni”.

L’osservanza dell’obbligo normativo, aggiunge l’Ispettorato, è strettamente connessa “alla effettiva tracciabilità delle operazioni di pagamento e alla loro possibile verifica da parte degli organi di vigilanza. Ciò in particolare in riferimento a quei mezzi di pagamento che – sebbene non esplicitamente consentiti dalla legge – sono stati ritenuti comunque idonei ad assolvere alla funzione antielusiva della norma, in quanto pur sempre tracciabili, come ad esempio il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente o conto di pagamento ordinario, soggetto alle dovute registrazioni e non un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento”.

E’ importante ricordare, infatti, che in capo al datore di lavoro sussiste un obbligo di conservazione della documentazione – in particolare delle ricevute di versamento – anche nei casi di versamenti effettuati su carta di credito prepagata intestata al lavoratore, non collegata ad un IBAN, proprio al fine di garantire l’effettiva tracciabilità delle operazioni eseguite, anche attraverso la loro esibizione agli organi di vigilanza.

Resta salva, nelle ipotesi di dubbia corresponsione della retribuzione attraverso gli strumenti prescritti, la precisazione dello stesso Ispettorato, “che rimette alla valutazione del personale ispettivo – sulla base delle circostanze del caso concreto e degli elementi acquisiti in sede di accertamento – l’eventuale attivazione delle procedure per le verifiche presso gli Istituti di credito, differenziate a seconda del sistema di pagamento adottato, anche per escludere la corresponsione della retribuzione in contanti direttamente al lavoratore e conseguentemente la sussistenza della fattispecie illecita prevista dalla norma”.