Sanzioni penali per appalti e somministrazione illecita: il giro di vite

Con lo scopo di contrastare più efficacemente il lavoro irregolare negli appalti e nei subappalti di opere e servizi, il “Decreto PNRR” ha reintrodotto il reato di somministrazione illecita di manodopera. Le sanzioni previste per questo tipo di reato sono particolarmente pesanti e si può andare da 60 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione all’arresto fino a un mese. Le pene sono a carico del somministratore e dell’utilizzatore.

Non è tutto, perché la normativa in tema di esternalizzazioni illecite e fraudolente prevede anche delle circostanze aggravanti e dei limiti entro i quali determinare le sanzioni.

La modifica introdotta dal decreto inasprisce dunque le pene per il diffuso fenomeno della esternalizzazione illecita di manodopera e dimostra come la semplice sanzione amministrativa precedente, peraltro limitata dalla presenza di un tetto massimo di 50 mila euro, non rappresentava un deterrente efficace.

Al fine di valutare la genuinità di un appalto è necessario partire dalla definizione contenuta nell’art. 1655 del Codice civile: “L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.

Per poter distinguere un appalto lecito da un appalto illecito questa definizione va coordinata con la disciplina contenuta nell’art. 29, co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003 in virtù della quale “il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.”

Integrando le due previsioni normative si evince dunque che i criteri che contraddistinguono e legittimano l’appalto genuino sono: l’organizzazione di mezzi in base alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto; l’esercizio, da parte dell’appaltatore, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto; l’assunzione, da parte dell’appaltatore, del rischio d’impresa.

In sintesi, un appalto si può definire “genuino” solo quando l’appaltatore non risulti essere un mero intermediario, ma un vero e proprio imprenditore che, come tale, impieghi una propria organizzazione produttiva ed assuma i rischi della realizzazione dell’opera o del servizio pattuito.

Si ha invece una interposizione illecita di manodopera quando l’interposto si limita a mettere a disposizione del pseudo committente le mere prestazioni lavorative dei suoi dipendenti.

Quali sono le conseguenze previste dalla legge nei casi di appalto e distacco illecito?

Nel recente passato si è registrato un atteggiamento piuttosto ambiguo da parte del Legislatore, che adesso, resosi conto del dilagare di questo fenomeno ed allo scopo di rafforzare l’attività di contrasto, con il recente D.L. n. 19/2024 ha parzialmente invertito la rotta reintroducendo anche il reato di somministrazione illecita di manodopera.

In mancanza degli elementi sostanziali e formali dell’appalto si configura pertanto un’ipotesi di somministrazione abusiva a carico dello pseudo appaltatore, ed una conseguente utilizzazione illecita a carico dello pseudo committente.

Va ricordato che sotto il profilo civilistico il lavoratore interessato può richiedere, mediante ricorso giudiziale, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dello pseudo committente.

Va infine tenuto conto del fatto che alle stesse conseguenze sanzionatorie esposte sopra va incontro anche chi trasgredisce le norme sul distacco di personale (art. 30, D.Lgs. n. 276/2003).

(parte 2)